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L’emergenza coronavirus impone delle regole molto rigide che tutti dovrebbero rispettare. Per esempio, quelle di evitare luoghi affollati e di mantenere una distanza di un metro e mezzo all’interno di locali o ristoranti. A doversi adeguare alle nuove norme non sono solo i cittadini, ma anche i pubblicitari che con il loro potere comunicativo possono influenzare facilmente il pubblico.

L’epidemia in corso ha fatto crescere in maniera esponenziale la ricerca di informazione. Crescono gli ascolti di tutti i telegiornali, le view delle news online, con incrementi a doppia cifra per quasi tutti i siti web delle principali testate. Questo per il desiderio comune di mantenersi aggiornati su una situazione che a molti inizia a star stretta, ma anche perché costretti a stare a casa dal decreto, tutti hanno molto più tempo per navigare Internet e lasciarsi intrattenere dalla televisione.

A fronte di tale impetuosa crescita di audience, si registra però un calo invece gli investimenti pubblicitari. Come è possibile?

Dopo aver assistito alla produzione senza controllo di contenuti relativi al coronavirus, dei quali le persone iniziano a fidarsi sempre meno, la mia attenzione è caduta molto di più su come i pubblicitari stanno affrontando l’emergenza nelle loro campagne adv. Alcuni, a mio avviso, si stanno tirando decisamente la zappa sui piedi, mentre molti altri si sono astenuti, forse per non associare la loro pubblicità e dunque la loro immagine all’epidemia, oppure perché ancora ci vanno cauti nel trattare l’argomento.

Il problema di molti sembra quello di non saper trovare le parole adatte e per questo stanno ricevendo critiche e perdendo credibilità a causa delle loro campagne.

Quello che sembrano aver perso di vista è che la diffusione del coronavirus, ormai dichiarata pandemia dall’OMS, sta condizionando la vita dei cittadini e cambiando le loro abitudini allo scopo di frenare ed evitare i contagi. 

In tutto questo anche le relazioni, le regole sociali e in generale la comunicazione cambiano: i messaggi pubblicitari devono quindi adattarsi o verranno percepiti come non coerenti o insensibili.

Per capire meglio di cosa sto parlando, ho voluto portare alcuni esempi raccolti in questi giorni.

 

 

GROUPON

Gli iscritti alla newsletter di Groupon, il sito che permette di accedere a offerte giornaliere di buoni sconto, hanno ricevuto un paio di settimane fa una e-mail con oggetto “Raduna i tuoi amici bongustai“. 

Anche se questa comunicazione era stata trasmessa prima che fosse emanato il decreto con l’obbligo di rimanere a casa, di certo in previsione di una già dichiarata grave espansione del virus lanciare un messaggio di incitamento al raduno di gruppi di persone non è stata una buona idea.

IMPIANTI PER LO SCI

Difficile che voi non l’abbiate notata se vivete in Friuli Venezia Giulia: il 7 marzo (il giorno prima che il decreto entrasse in vigore) una intera pagina pubblicata sui quotidiani friulani dichiarava: “C’è una zona bianca dove star bene è contagioso“. Le parole usate per pubblicizzare gli impianti sciistici di Bormio e Livigno erano accompagnate da una immagine raffigurante un gruppo di giovani sorridenti ammucchiati, di certo un esempio negativo di gestione dell’igiene in un momento così delicato.

Il messaggio voleva spingere tutti i ragazzi ad impiegare il loro tempo libero dovuto alla chiusura delle scuole a divertirsi sulle piste, andando contro però le logiche governative: il Governo in via precauzionale aveva infatti chiuso le scuole per evitare la vicinanza tra alunni, che avrebbe prodotto un’ulteriore diffusione del virus contro il quale si sta combattendo.

 

 

CRODINO

L’analcolico “biondo che fa impazzire il mondo” era da poco diventato “l’analcolico biondo che fa abbracciare il mondo”. Un brutto momento per supportare il nuovo slogan, che il brand ha deciso comunque di mantenere. Nel video pubblicitario, il discorso “bestiale” aveva l’intento di ridare il giusto valore alle relazioni umane, probabilmente sarebbe stato meglio in questo momento critico affrontarlo con un altro…tatto.

ASOS

Il sito di moda britannico ASOS l’aveva vista lunga: già nell’agosto del 2019 aveva infatti inserito in vendita tra gli articoli del proprio e-commerce una collezione di mascherine, forse per cavalcare  l’onda di notorietà della rapper Miss Keta, il cui outfit prevede sempre una maschera in grado di coprirle il volto.  

Al momento del lancio, il rivenditore li aveva promossi proponendoli per la stagione dei festival, ma anche per quella influenzale, invitando a scegliere un prodotto versatile per tutto l’anno.

Forse avrebbero potuto essere considerate alla moda fino qualche mese fa … forse, ma adesso che sono state la fonte di molta disinformazione per il coronavirus? 

Facebook e Google sono stati costretti addirittura a vietare gli annunci per le maschere per il viso, a cause delle molte lamentele degli utenti che si vedevano banner riferiti a mascherine di qualsiasi genere e su tutte le piattaforme.

La società dopo aver ricevuto molte critiche, ha deciso di ritirare il prodotto di recente.

KFC

La KFC si è vista di recente costretta a sospendere una campagna nel Regno Unito, lanciata alla fine di febbraio, in cui si vedevano diverse persone che per diversi minuti si leccavano le dita gustandosi il pollo fritto, prodotto cardine della catena di fastfood statunitense.

Lo slogan era “finger lickin ‘good”, ed era stato riproposto sui cartelloni pubblicitari. Il messaggio però ha provocato diverse lamentele, in quanto l’igiene delle mani è diventata la misura preventiva principale per combattere il coronavirus.

Non essendo il momento giusto per trasmettere questa campagna, KFC ha deciso di metterla in pausa per riproporla in un secondo momento.

L’unico dubbio che mi resta è se sia proficuo trasmetterla in un secondo momento, visto che i consumatori hanno colto il messaggio come inappropriato e irresponsabile.

 

 

 

 

Studiati questi casi, vorrei fare una osservazione: anche pubblicità è un riflesso della società ed è condizionata dai valori e dalle problematiche che popolazione condivide.

Per questo deve essere sempre considerato come un potenziale strumento per fornire modelli di comportamento positivi e, come in questo caso, assolutamente necessari per affrontare un momento di crisi: il suo risolversi dipende dal contributo e dalle precauzioni di ciascuno, anche dalla comunicazione delle grandi aziende.

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