Don’t buy this jacket: il caso Patagonia
Patagonia è un marchio di abbigliamento che sto seguendo con particolare interesse negli ultimi mesi sia per la sua mission e vision aziendale che condivido ed apprezzo molto che per l’approccio al marketing che questo brand adotta da quando si è presentato sul mercato con una campagna di comunicazione dal titolo “Don’t buy this jacket”.
Chi è Patagonia?
Patagonia è un marchio d’abbigliamento outdoor nato nel 1973 a Ventura, in California per volontà di Yvon Chouinard, climber di fama internazionale, motivato dalla sua grandissima passione per la montagna e per la natura. Un brand nato per salvare la terra come si apprende dalla mission e vision aziendale e dalle numerose attività/battaglie che porta avanti. Patagonia, negli ultimi anni, è considerata una tra le aziende più sostenibili al mondo per l’attenzione verso l’ambiente ed i propri dipendenti con condizioni di lavoro umane, orari flessibili, assistenza sanitaria e pagamenti dignitosi. La mission aziendale rispecchia lo stile di vita del fondatore: creare prodotti di alta qualità adottando una serie di misure eco-friendly. Patagonia fa fede agli impegni presi scegliendo solo partners e fornitori in grado di garantire gli stessi valori socio-ambientali rifiutando rapporti con aziende che non soddisfano gli standard previsti dall’azienda.
Realizzare il prodotto migliore, non provocare danni inutili, utilizzare il business per ispirare e implementare soluzioni per la crisi ambientale.
Da qui capi d’abbigliamento amici dell’ambiente: materiali ecosostenibili come cotone organico, poliestere riciclato, nylon proveniente da fibre di scarti post-industriali e filati raccolti in aziende tessili o ancora lana ricavata dagli allevamenti di pecore gestiti in modo sostenibile nelle praterie della Patagonia e, infine, canapa e TENCEL, fibra ottenuta dalla polpa di alberi d’eucalipto.
Capi d’abbigliamento pensati per durare. E quando si rompono?
Un’azienda in grado di sorprendere . Spesso da consumatore mi domando se i prodotti vengono sviluppati per durare poco. Vero hai anche tu questa sensazione? Patagonia progetta capi di abbigliamento in grado di durare per anni ma soprattutto in grado di essere riparati così da non gettarli via e acquistarne di nuovi. Sembra strano vero? Lo pensavo anche io fino. quando non ho scoperto che Patagonia ha creato un programma chiamato “Worn Wear”, (questo il sito di riferimento) dove sono raccolte le storie di alcuni personaggi attraverso gli indumenti che li accompagnano nelle loro avventure, arrivando anche a pubblicare sul proprio sito le linee guida per riparare i capi di abbigliamento Patagonia. Questo eco-brand gestisce lo stabilimento più grande del Nord America (con all’attivo circa 40.000 interventi nell’anno in corso) per interventi di riparazione dei propri capi e ha formato il personale dei suoi punti vendita in modo che siano in grado di intervenire direttamente sui capi riportati in negozio per le riparazione più semplici. Non ti basta per rimanere affascinato da questa azienda e da come concepisce il prodotto e il cliente? Pensa che tutti i capi Patagonia possono essere riciclati.
Il marketing di Patagonia è etico.
Come abbiamo visto Patagonia sostiene un’economia: i suoi capi non sono fatti per essere buttati, ma anzi per resistere quanto più possibile nel tempo: possono essere riparati oppure, nel caso il proprietario se ne fosse stancato, riciclati. Un obiettivo aziendale concreto sottolineato anche dal marketing aziendale. Un esempio su tutti la campagna pubblicitaria in occasione del black friday del 2011 quando, tra tutte le pubblicità che offrivano saldi per spingere all’acquisto, Patagonia si differenziò invitando i clienti, o meglio le persone, a riflettere sull’insensata pratica dello shopping selvaggio che segue il giorno del Ringraziamento negli Stati Uniti: «Don’t buy this jacket». I malfidati potrebbero pensare ad una strategia di marketing basata sul buonismo ambientale per attirare l’attenzione dei consumatori. Patagonia risponde azioni concrete, sostenendo tantissime associazioni che si battono per salvaguardare il nostro ambiente. Donazioni che non vengono considerate dall’azienda come beneficienza ma come il prezzo da pagare per fare business, quella che il brand californiano chiama “Earth Tax”.
“Dobbiamo fare in modo che i nostri clienti si assumano la responsabilità del prodotto, e questo richiederà un cambiamento di prospettiva epocale.” – Rose Marcario (Amministratore Delegato Patagonia).
Cos’è la promessa di Patagonia?
In un libro di marketing che ho letto recentemente, Scripta Volant di Paolo Iabichino, si parla del brand Patagonia nel capitolo dedicato alla “Promessa”. Si sostiene che le persone non comprano quello che facciamo e come lo facciamo, le persone scelgono i perché del nostro stare sul mercato. Il claim “Don’t buy this jacket” ha rotte le regole del marketing che promuove l’acquisto e non il contrario. La promessa di Patagonia era quella di non acquistare capi se non c’è il reale bisogno ma di sistemarli. Una promessa mantenuta dall’azione di offrire supporto alle riparazione dei capi di abbigliamento rotti sul sito internet, direttamente in negozio ma anche per un periodo con un supporto on the road: un camper sartoria che ha girato le maggiori città europee. Una promessa portata avanti a tutti i costi. Come quando Patagonia, scegliendo di utilizzare esclusivamente cotone organico nei suoi capi di abbigliamento tecnico, ha annunciato in pubblicità che i prezzi sarebbero aumentati per mantenere i profitti aziendali stabili, ma anche per non utilizzare pesticidi nelle aree agricole e rendere l’acqua potabile. La risposta dei consumatori? Le vendite paradossalmente aumentarono tanto che nel 2016 il marchio canadese ha avuto un utile di $7500000.
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